Un silenzio che aiuta a riflettere
Un silenzio che aiuta a riflettere quello del Venerdì Santo. In questa occasione il Vescovo invita a meditare un passaggio del Discorso alla Città 2017 dal titolo «…e già splendevano le luci del sabato (Lc 23,54): alcune suggestioni dei nostri giorni nella luce del Sabato Santo»
«Tre amici di Giobbe vennero a sapere di tutte le disgrazie che si erano abbattute su di lui. Partirono, ciascuno dalla sua contrada, Elifaz di Teman, Bildad di Suach e Sofar di Naamà, e si accordarono per andare a condividere il suo dolore e a consolarlo. Alzarono gli occhi da lontano, ma non lo riconobbero. Levarono la loro voce e si misero a piangere. Ognuno si stracciò il mantello e lanciò polvere verso il cielo sul proprio capo. Poi sedettero accanto a lui in terra, per sette giorni e sette notti. Nessuno gli rivolgeva una parola, perché vedevano che molto grande era il suo dolore» (Gb 2,11-13).
C’è un silenzio dinanzi all’evidenza del dolore che si fa compagnia, accompagnamento, carezza; e c’è un silenzio che può far male più di ogni parola. Sempre deve essere un silenzio di ascolto perché il silenzio, qualche volta è tacere, sempre è ascoltare.
Silenzio, non mutismo, mentre a tratti ritorna il dibattito sul fine vita e sull’eutanasia. Silenzio che aiuta a riflettere quando essa, la vita, è pensata solo come bella e perfetta e si invocano pellegrinaggi verso luoghi che, non avendo aiutato a vivere, aiutano solo a morire.
Silenzio per capire e agire e per aiutare a vivere e a ben vivere, sapendo che la vita rimane il dono più prezioso. A volte è un silenzio imbarazzante, politico, o è un parlare che si riveste di pseudo politica, o è un gridare di chi non ha stretto mai la mano ad un malato terminale che, se aiutato, non chiede mai di morire.
Non si può e non si deve spettacolarizzare la sofferenza e creare per essa effetti speciali, che lasciamo alla vera cinematografia.
Una città, se è vera e ben governata, deve prevedere spazi e tempi per la dignità di chi nasce e di chi muore, affinché come scrive David Maria Turoldo ritorni umano almeno il morire; e una vera città, nel suo groviglio esistenziale, deve lasciare sempre una finestra aperta verso il cielo, la trascendenza.
Caino parlò al fratello Abele. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. Allora il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?”. Egli rispose: “Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,8-9).
Essere custode vuol dire, oggi, custodire con rispetto e venerazione il grande dono della vita, dall’alba al tramonto, investendo nella sanità e nelle cure palliative (pallium – Legge 38 del 2010) evitando silenzi politici o chiacchiere da mercato, che fanno dell’altro una merce o un voto in più.
Le prime due domande della Bibbia: «Dove sei?» (Gen 3,9) – «dove è tuo fratello» (Gen 4,9) ritornano nei nostri sabati e nel sabato della nostra storia e non possono essere eluse. Sono domande per le quali, prima di rispondere, è bene mettere una mano sulla coscienza, come ci insegna la nostra grande tradizione.