
Messaggio di Pasqua 2016
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Con le due Marie vegliamo
davanti alla porta ancora chiusa,
porta della tomba, del cuore, della storia.
Fra la Croce e la Risurrezione,
nella penombra di un lungo Sabato Santo,
lo Spirito suscita fiducia.
La tua morte, Gesù, spezzi la forza della morte
e faccia zampillare la vita per il mondo.
Nella luce ancora incerta,
nella luce che tutt’a un tratto ci inonda
si apra la porta della tomba,
si rompa il cuore di pietra e la storia trovi senso.
Rallegriamoci ed esultiamo,
perché sono giunte le nozze dell’Agnello.
(Olivier Clément, Via Crucis 1998)
Ho fatto festa dinanzi al Signore!
Messaggio del Vescovo in occasione della Pasqua sul tema della festa e delle feste religiose.
Ho fatto festa dinanzi al Signore!
Questa è l’espressione usata da Davide che, richiamato dalla figlia di Saul, per aver danzato dinanzi all’Arca, risponde:
L’ho fatto dinanzi al Signore, che mi ha scelto invece di tuo padre e di tutta la sua casa per stabilirmi capo sul popolo del Signore, su Israele; ho danzato davanti al Signore (cfr 2 Sam 6,21).
Danzare e fare festa dinanzi al Signore, e per il Signore; direi che in questa motivazione di fede, sempre da maturare, si racchiude il significato profondo, per un credente, della Festa e delle feste.
Sorelle e fratelli, carissimi Presbiteri, Chiesa pellegrina in Nocera-Sarno,
desidero, con questo mio messaggio in occasione della Pasqua, venire nelle vostre case per benedire il lavoro, incoraggiare la vostra testimonianza cristiana, condividere le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce, e salutare tutti coloro che, in questi giorni, si impegnano a preparare la Pasqua del Signore. Penso alle diverse comunità religiose, alle famiglie, alle parrocchie, ai movimenti e alle associazioni.
Da Vescovo, vi saluto con la parola di Gesù, che risuona per tutti come un invito: Venite alla festa! (Mt 22,4).
Questa chiamata la leggiamo tante volte nel Vangelo e, ieri come oggi, trova cuori disponibili e gente indaffarata, che non ha tempo per il Signore. Gesù, però, non si scoraggia e, tramite la Chiesa, manda ancora messaggeri ai crocicchi delle strade per invitare ogni uomo e ogni donna alla festa.
I privilegiati sono sempre i poveri, i soli, gli abbandonati, gli ammalati, i disoccupati, i giovani in attesa di occupazione, gli orfani, le vedove, tutti coloro che non hanno fatto mai festa.
C’è però una condizione indispensabile, che il Signore richiede ad ognuno prima di farci entrare nella sala della festa; bisogna indossare l’abito nuziale: Amico, come hai potuto entrare qui senz’abito nuziale? (Mt 22,12).
Indossare l’abito nuziale significa purificare la nostra coscienza, le nostre idee, i nostri progetti per entrare, da cristiani con il Signore, nella casa della festa.
In questo tempo di Pasqua, nel quale ognuno cerca di rivestirsi con l’abito della misericordia donato dal Padre, intendo invitarvi ad una serena riflessione sul fenomeno della Festa, e in particolare delle feste religiose, per iniziare con voi un cammino di purificazione delle cose vere e belle, senza spreco di energia e denaro per ciò che non serve e che, non poche volte, risulta in dissonanza con il Vangelo e lo stile della Chiesa.
Che cos’è una festa, e in particolare una festa che vuol dirsi religiosa?
Essa nasce sempre dalla concorrenza di due fattori: un evento importante da vivere e il bisogno di ritrovarsi per celebrarlo gioiosamente insieme.
La festa, anche soltanto nell’esperienza umana, non è mai un episodio, una scadenza di calendario. È un momento essenziale dell’esistenza umana, un atteggiamento radicale dello spirito, un gesto qualificante.
Essa è attesa, preparata, sognata, vissuta in profondità; rivela un popolo, una cultura, una storia, una fede. Scuote, impegna, fa uscire dal quotidiano, polarizza, accende la fantasia, si fa memoria, stimola la creatività, ristora la fatica, consola il dolore, rivela un senso nuovo della vita.
Vocazione profonda, la festa è scritta nel cuore di ogni uomo. Non possiamo nasconderci il fatto – come essere nell’amicizia se non si è nella verità? – che, non poche volte, le nostre feste hanno soltanto una verniciatura religiosa e diventano la celebrazione del nostro prestigio o delle nostre frustrazioni.
Non ci impegnano in una profonda adesione di fede; ci lasciano come ci trovano senza un minimo di miglioramento nella vita spirituale; diventano una accozzaglia di cose, non espressione di creatività e libertà; un semplice folclore, museo di cose antiche senza incidenza sulla vita delle persone e non espressione profonda di un popolo riconciliato nell’amore.
Nelle nostre feste si vede un po’ di tutto, diventano la fiera di tante manifestazioni che, se non vengono purificate, rischiano di stonare con la qualificazione religiosa di cui le nostre feste portano il timbro.
Non dobbiamo dimenticare, se vogliamo celebrare una festa autenticamente religiosa, di mettere al primo posto l’esperienza cristiana. Dobbiamo recuperare, in fretta e fino in fondo, il ricco patrimonio religioso della nostra gente, illuminandolo con la luce del Vangelo di Cristo, che solo può orientare la nostra pietà.
Ci sono ancora molti strati che si sovrappongono, ma non si fondono ancora nelle nostre feste come esperienza di unità. Mi riferisco alla differenza tra piano religioso, cristiano e di fede.
Su quale piano poniamo le nostre feste? E, sappiamo fare in modo critico, una differenza tra cammino di fede e semplice momento religioso?
Hanno scritto bene i Vescovi italiani in una Nota pastorale del 1984 «Il giorno del Signore» quando affermano che spesso l’uomo contemporaneo «vestito a festa ma incapace di fare festa, finisce con il chiudersi in un orizzonte tanto ristretto che non gli consente più di vedere il cielo».
Ho ricordato all’inizio che la festa nasce innanzitutto da un evento importante da vivere. Per noi cristiani, l’evento fondamentale, che segna la storia della salvezza, è la Pasqua del Signore.
Ecco come la liturgia, riprendendo un’antica tradizione, ne proclama l’annuncio nella Solennità dell’Epifania.
Fratelli
carissimi,
la gloria del Signore si è manifestata
e sempre si manifesterà in mezzo a noi fino al suo ritorno.
Nei ritmi e nelle vicende del tempo
ricordiamo e viviamo i misteri della salvezza.
Centro di tutto l’anno liturgico
è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto,
che culminerà nella domenica di Pasqua il 27 marzo 2016.
In ogni domenica, Pasqua della settimana,
la santa Chiesa rende presente questo grande evento
nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte.
Dalla Pasqua scaturiscono tutti i giorni santi:
Le Ceneri, inizio della Quaresima, il 10 febbraio.
L’Ascensione del Signore, l’8 maggio.
La Pentecoste, il 15 maggio.
La prima domenica di Avvento, il 27 novembre.
Anche nelle feste della santa Madre di Dio, degli Apostoli, dei Santi e nella commemorazione dei fedeli defunti, la Chiesa pellegrina sulla terra proclama la Pasqua del suo Signore.
A Cristo che era, che è e che viene, Signore del tempo e della storia, lode perenne nei secoli dei secoli.
A 50 anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, che ha riscoperto la centralità del mistero pasquale, noi dobbiamo registrare ancora dei ritardi nelle nostre comunità e porvi rimedio con una catechesi che metta al centro della nostra fede la Pasqua del Signore.
Per questo sempre deve esserci la Croce al centro delle nostre Chiese. Al Crocifisso dobbiamo rivolgere il cuore, lo sguardo e l’intelligenza per venerare la Madonna e i Santi.
Cristo rimane per ogni uomo Via, Verità, Vita, Alfa e Omega. Il Crocifisso è il Risorto!
L’evento – Pasqua, celebrato da Cristo una volta per sempre, si fa attuale per ognuno di noi nei sacramenti della Chiesa; nella stessa Chiesa, sacramento di salvezza, raggiunge la nostra povera storia, l’assume e, innestandola nella Pasqua del Cristo, la redime e la salva.
La semplice cronaca quotidiana si fa, per grazia, storia di salvezza.
Quando noi come popolo santo, Chiesa pellegrina del Signore, ci ritroviamo a far festa intorno alla Madonna e ai Santi, e nei sacramenti celebriamo il Mistero pasquale, permettiamo alla Pasqua del Cristo di raggiungerci.
Non dimentichiamo mai che la Madonna e i Santi, nostri amici e modelli, sono portatori di un unico e immutabile messaggio: Guardate a Cristo e sarete raggianti!
Con la loro vita, fatta di fede, speranza e carità, segnata quasi sempre dalla Croce, i Santi, pagine di Vangelo scritte con la carne e con il sangue, ci aiutano a rivolgere il nostro sguardo al Cristo ricordandoci che il Vangelo è una passione possibile, non è ideologia, ma è una Persona, il Cristo di Dio.
È falsa una devozione che distoglie dal Cristo.
La cultura odierna fa del tutto per strappare alle nostre feste la motivazione religiosa sostituendola con altri significati e interessi, non in coerenza con lo spirito evangelico.
La Pasqua è per molti la festa della primavera, delle gite; il Natale è semplice incontro di famiglia, festa della neve, condita con un po’ di poesia religiosa. La stessa Domenica, giorno del Signore – signore dei giorni –, si risolve per la maggior parte della gente in giorno di evasione e di distrazione e, ogni tanto, si tenta di renderlo lavorativo come gli altri giorni invitando la gente a spendere presso i centri commerciali, veri santuari moderni dove, polverizzando le relazioni, tutto si sacrifica sull’altare del consumismo, a cominciare dal concetto di famiglia.
Dobbiamo riscoprire in fretta la santità di questi giorni, perché l’uomo non è solo produzione, ma anche libertà, festa, creatività.
Se vogliamo far festa intorno alla Madonna e ai Santi, condizione indispensabile richiesta è la fede.
A ritrovarci, a far festa, ci spinge la fede, tesoro antico ma sempre nuovo, che i nostri padri ci hanno lasciato in eredità.
La fede è un dono ed una conquista. La fede è un cammino che, a volte, partendo da un semplice sentire religioso e, intercettando il Vangelo, approda alla maturità di un itinerario di vera testimonianza. Queste diverse tappe sono da mettere in conto e sono tutte presenti nelle nostre feste. A noi, se ci diciamo maturi nella fede, è chiesta la pazienza per accompagnare tutti verso la maturità della fede, ma ben sapendo da dove ognuno è partito, dove staziona e dove potrebbe arrivare. A questo livello esplodono, non poche volte, le tensioni all’interno delle nostre feste religiose, dove i diversi livelli di maturazione non sono ancora amalgamati.
La fede, le radici di un popolo, il ritornare nella propria terra, nella Chiesa dove, in un piccolo battistero, abbiamo incontrato il Cristo, il santificare la festa per farci santi, ritrovare fra la propria gente la gioia di stare insieme: ecco, Sorelle e Fratelli, i motivi per fare festa. Se siamo mossi da altri interessi, se abbiamo altre motivazioni, dobbiamo togliere forse alle nostre feste il qualificativo religioso. Non è permesso a nessuno di servirsi della Madonna e dei Santi per fare feste, che di cristiano, di Chiesa, hanno ben poco.
Il problema quindi non è fare o non fare le feste: ma come farle, come renderle autentiche, partecipate, preparate da una mentalità nuova, irrorata dal Vangelo, permettendo ad ognuno di camminare verso una vera maturità ecclesiale.
Interroghiamoci allora sulla nostra vita di fede, sulla speranza, sulla carità, sul nostro vivere l’esperienza della Chiesa.
Come possiamo dire di aver fatto festa se non siamo riconciliati con il Signore e con i fratelli; se non ci amiamo nei fatti e non nelle parole, se non ci perdoniamo; se, nei giorni che noi diciamo di festa, non ci accostiamo ai sacramenti per ricevere il coraggio di vivere con responsabilità la nostra vocazione tra la gente?
Sono domande, Carissimi, che pongo innanzitutto a me stesso, e poi, per il ministero episcopale, rivolgo a ognuno di voi con l’invito a dare risposte concrete in quel santuario, che è la nostra coscienza, dove l’uomo e Dio vengono a silenzioso ma reale colloquio.
Riusciremo a salvare queste nostre feste, espressione di fede e cultura, se avremo il coraggio di essere nuovi, creativi, innamorati delle cose belle, pronti a valorizzare la cultura locale, esigenti nel nostro rapporto con il Signore, prima con noi stessi, senza farci giudici degli altri.
C’è un fenomeno, che è già avvenuto ed è ancora in atto, cioè il fatto che alcuni si impossessano delle nostre feste sacre e, svuotandole del contenuto autentico, le fanno diventare sagre. Su questo tema è bene vigilare, correggere, per evitare che alcuni, servendosi delle cose della Chiesa, non servano più la Chiesa e il suo fine che rimane sempre e soltanto l’evangelizzazione.
Esprimiamoci in novità; festa partecipata non è soltanto ascoltare un cantante, ma è gruppi teatrali, mostre, gare sportive, giochi fra la gente; è incontro di un popolo che ha ricevuto tanti doni da condividere con gli altri.
Per attuare tutto questo ricordo alcuni princìpi, sui quali invito a riflettere.
Il primo carattere da salvare è l’interiorità. Vera festa è celebrazione dell’uomo interiore, l’homo festivus, che ama, canta, danza, prega, ammira il bello. La vera festa non è chiasso, confusione, distrazione, superficialità.
La dimensione liturgica è un altro carattere della festa religiosa. Nella liturgia Dio viene a fare festa con noi. La liturgia deve dire come celebrare una festa religiosa. Una liturgia che si fa offerta, lode, ringraziamento, in una sola parola Eucaristia.
Una festa religiosa richiede un cammino di conversione. Come dire religiosa una festa che non è incontro vero con il Signore?
Un altro carattere fondamentale è l’ecclesialità della festa.
Per fare festa, è necessaria una comunità cristiana. Non è possibile che una statua diventi ostaggio di un gruppo, che crede di improvvisare una festa.
Una festa religiosa è festa di Chiesa e solo la Chiesa, valorizzando ogni esperienza umana, può dire come celebrarla.
Non è assurdo che, a volte, vuole preparare la festa chi della Chiesa non conosce proprio niente?
Nel tempo di Pasqua, e oltre, verrò per presiedere la celebrazione della Cresima.
È il momento culminante della festa, perché è un momento ecclesiale, di Chiesa.
Il Vescovo viene come Padre, Fratello, Pastore, Liturgo, Segno del Cristo Risorto per incoraggiarvi nel vostro sforzo di testimonianza al Signore della Pasqua.
È la Pentecoste della comunità; l’ora in cui lo Spirito Santo scenderà su ognuno di noi, in modo particolare sui Cresimandi e, se ci troverà in preghiera con Maria in quest’anno della Misericordia, ci farà Testimoni della Risurrezione nelle concrete e quotidiane situazioni della vita.
Un altro momento pasquale può essere l’incontro al Cimitero per celebrare la santa Messa in suffragio dei nostri fratelli che celebrano già la loro festa in cielo. Il tema escatologico non può e non deve essere assente nelle nostre feste.
Sappiamo bene che, per la fragilità, le malattie, il lutto, le nostre feste sono sempre incomplete e, per questo, in ogni festa è bene aprire anche una finestra verso l’oltre per non affogare la festa nella melma del semplice attimo fuggente.
Altro segno di festa è la comunione.
Qui voglio dire una parola sul Comitato o Commissione per i festeggiamenti.
Che cos’è un comitato? Possiamo dire che è formato da un gruppo di persone che, coordinate dal Parroco, prepara la festa. Esso non si identifica soltanto con coloro che girano, con grande sacrificio, per fare la questua, raccogliendo a volte tante critiche e pochi soldi. C’è un concetto di comitato molto più ampio; una festa, che vuole avere i connotati sopra descritti, deve essere preparata da più persone, che danno diversi contributi, anche solo di idee, di incoraggiamento, di testimonianza cristiana, per la riuscita dei festeggiamenti.
Il Comitato non è il padrone della festa, e chi fa la questua, può uscire a raccogliere le offerte con il permesso della Curia, soltanto dopo aver concordato il programma dei vari festeggiamenti.
Alla fine della festa, il Comitato può essere sciolto o rimanere in carica, sempre sotto la presidenza del Parroco, per preparare le altre feste.
Ho trovato in Diocesi molta disponibilità e con l’aiuto del Signore, valorizzando i talenti, che sono tanti, possiamo iniziare a dare alle nostre feste un volto nuovo, seguendo anche le indicazioni della Conferenza Episcopale Campana.
La mia opera non mancherà e conto molto su quella di ognuno di voi.
Un’altra parola voglio dirla sul carattere di concretezza che devono avere le nostre feste.
Una festa non può mai essere evasione dalla storia, fuga, ma deve farsi carico anche dei problemi di una zona, un rione.
Come comunità parrocchiale e diocesana non possiamo accontentarci di fare festa e poi, spente le luci, ritornare come prima.
La festa è sempre un impegno a progredire nella vita religiosa e civile. Non possiamo sprecare tanti soldi per cose futili, quando in parrocchia abbiamo bisogno di strutture per le opere di apostolato.
Un Comitato a cui sta a cuore la Chiesa, prevederà nel bilancio della festa, che deve essere sempre trasparente, anche qualche spesa, di anno in anno, per rendere sempre più accogliente la parrocchia e i locali di ministero.
È chiedere l’impossibile? Credo di no, perché vi ho visti generosi, disponibili e capaci di non mandare tutto in fumo e attenti all’eredità lasciataci in dono.
Non possiamo, ancora, dire di aver fatto festa quando non abbiamo portato anche un po’ di festa nelle case dei poveri, se non abbiamo saputo devolvere qualcosa per una opera di carità. E si è poveri oggi in tanti modi.
Non accontentiamoci di una bella processione, se non camminiamo nella vita cristiana. Non attacchiamo soldi ai Santi, facendoli diventare accattoni, se non abbiamo tempo e denaro per fratelli e sorelle che soffrono.
Il luogo più vero della festa, il primo da addobbare e illuminare, rimane il cuore dell’uomo, e se esso è nel peccato nessuna festa esterna potrà dargli gioia e serenità. È la porta del cuore che si deve aprire per prima.
Sorelle e Fratelli, carissimi Presbiteri,
sono in mezzo a voi non per fare da padrone sulla vostra fede, ma per essere il collaboratore della vostra gioia, perché nella fede voi siete già saldi (cfr 2 Cor 1,24).
Ho voluto aprirvi il cuore su questo problema, perché nasca un modo nuovo di fare festa e perché conosco i problemi che spesso si creano.
Credo molto in quello che ho scritto.
Vi invito a parlare di questo argomento in famiglia, sui posti di lavoro, per strada, nelle associazioni, gruppi e movimenti. Poi, spero che avremo su questo tema anche un momento assembleare in Diocesi.
Penso soprattutto ai giovani, che hanno il compito affascinante di coniugare, nel presente, passato e futuro, facendo nascere una mentalità nuova.
Così, nel dialogo paziente e sofferto, si costruisce la Chiesa e la Chiesa del Signore.
Diamoci una mano per fare di Nocera Inferiore-Sarno una vera comunità pasquale, che cammina verso l’altare e dall’altare riparte, in uscita missionaria, verso la gente.
Maria, Mater Misericordiae, e i Santi, Testimoni della Misericordia, ci chiamano a questo.
Usciamo da noi stessi, annunciamo il Vangelo della gioia, abitiamo con fiducia il nostro territorio, educhiamo alla vita buona del Vangelo e trasfiguriamo il mondo con la festa di Dio.
È ideale tutto quello che ho scritto?
Io credo di no, perché so che il Signore, il Risorto che ha vinto la morte, ha il potere di far fiorire il deserto, di fare cose nuove, creature nuove, testimoni della festa.
Sia questa la nostra Pasqua dell’Anno Santo, ricca di misericordia; sia una Pasqua dove risorti, dopo aver bonificato le famiglie e le comunità con il dono della riconciliazione, iniziamo veramente a danzare e a fare festa davanti al Signore.
Vi benedico,
† Giuseppe Vescovo
Nocera Inferiore, 27 Marzo 2016
Pasqua del Signore